Home
Biografia
Filmografia
Poster
Foto dai film
Casting
Backstage
Storyboard
Cameo
Foto di Sir Alfred
Video Clip
Colonne sonore
Ipse dixit
Curiosità
Studi & Reviews
Bibliografia
DVD
Best Friends
Guestbook
Forum
Link
Posta

Studi & Reviews


Nodo alla gola-Cocktail per un cadavere
Rope
(1948)

         

Ten minutes take  

Sapete perché faccio lunghe riprese senza stacchi? Perché non conosco bene la tecnica, non so girare. Questo diceva alcuni anni fa un noto regista italiano, ma era, la sua, un’uscita snobistica nemmeno peregrina: confessare un’ignoranza di base nel proprio mestiere può concedere una patente “artistica” innata, un “periodo blu” al quale si è arrivati intuitivamente, senza saper disegnare. Non c’è niente di male, comunque a scegliere una strada piuttosto che un’altra. Nemmeno quando un maestro assoluto, padrone della grammatica e della sintassi, vorrebbe fare un intero film in un'unica ripresa e però deve accontentarsi di inquadrature lunghe “solo” dieci minuti, perché la bobina della cinepresa può contenere un tot numero di metri di pellicola e non di più.
Si dice che Nodo alla gola nacque da una scommessa e non è vero. Si dice pure che Alfred Hitchcock (è di lui che parliamo) intendesse ad ogni costo applicare al cinema le famose tre unità di Aristotele: il tempo, il luogo e azione. Si ripete cioè, a proposito di Rope, la leggenda di film-esperimento, dove il regista (in questo caso per la prima volta anche produttore) azzarda un gioco tutto di testa e rischia l’osso del collo per una bizzarria narcisistica. Niente di tutto questo, e non solo perché Hitchcock era un tipo avveduto. Ma perché l’inquadratura lunga, quella che esaurisce in se stessa l’azione di una scena, è nata con il cinema, forse con L’uscita dalla fabbrica dei Lumière. E’ il montaggio che è venuto dopo, la messa in relazione di un’immagine con un’altra. Perciò ogni volta che riscopriamo il piano-sequenza (brutto francesismo ormai insostituibile) come un evento miracoloso, dovremmo ricordarci che è un ritorno al grembo materno.
Invitandoci al suo macabro party, col morto nascosto in una cassapanca, Hitchcock voleva giustamente farci diventare coprotagonisti. Perciò lo sguardo della macchina da presa stavolta non è quello dell’autore o di uno dei suoi personaggi, ma il nostro, di spettatori-ospiti nel grattacielo insieme a James Stewart e fianco a fianco con i due giovani assassini. Hitchcock evita gli stacchi (ce ne sono sette in tutto e ben mimetizzati), ma non fa a meno del montaggio: lo costruisce all’interno dell’inquadratura (montaggio “nel quadro” si diceva una volta, al posto di montaggio “di quadri”) ed è commovente la sua ossessione a fingere che tutto si svolga davvero in ottanta minuti d’orologio. Il maestro sa meglio di noi che il tempo del cinema non è mai il tempo reale, che sullo schermo esiste il tempo soggettivo che ogni spettatore avverte in maniera differente. Ma Hitchcock è un maestro di illusioni, e noi ci lasciamo prendere nelle sue trame senza opporre resistenza. 

Gianni Amelio, (Regista) - (Tratto dalla rivista Film-TV)