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Studi & Reviews

La donna che visse due volte
Vertigo
(1958)

 

Reviews

       

I corpi e i fantasmi 

L’ho sempre pronunciato con l’accento sulla i. “Vertìgo” come in latino. Pensavo che a sbagliare fossero gli altri, quelli che dicevano “Vèrtigo” con l’accento sulla e. Invece, ignorante, non sapevo che nel vocabolario inglese esiste proprio quella parola e significa appunto vertigine, perdita di equilibrio, panico nel vuoto. Che bel titolo…
E come è stato banalizzato in Italia, in Francia (“Sueurs froids”/Sudori freddi), e magari nel resto del mondo. Considerando che il romanzo originale si chiama “D’entre les morts”, verrebbe voglia di dire ai traduttori: mettetevi un po’ d’accordo, si tratta sempre della stessa storia…
Ma Hitchcock ostentava un distacco superiore verso queste piccolezze. L’importante era che il film toccasse il maggior pubblico possibile, che ognuno, in ogni paese, avesse la sua fetta di torta. Tranche de gateau definiva infatti il proprio cinema, distinguendolo con orgoglio da quello che tendeva invece al ritratto realistico, alla tranche de vie, appunto… Il cinema per lui era un sogno, intrattenimento puro. Ma nessuno più di lui ha dato all’intrattenimento, allo spettacolo, stile e profondità. Molte definizioni sono riduttive o bugiarde: quella di Hitchcock quale “mago del brivido” suona addirittura offensiva. Basta “La donna che visse due volte” a spiazzarci su ogni fronte… Intanto il ritmo è insinuante, avvolgente, solenne, come mai è accaduto in un thriller. La scansione delle inquadrature, i tempi del montaggio obbediscono non alle azioni, ma ai segreti dei personaggi. La suspense si sviluppa negando la sorpresa. E il film, mentre svela a tre quarti dalla fine la chiave della sua trama, ci dice che a Hitchcock interessa qualcos’altro. Dopo averci catturati con una vicenda affascinate quanto inverosimile, il maestro si rifiuta di portarla fino in fondo secondo i canoni, e ci costringe a seguirlo nel labirinto di un’ossessione inconfessabile. Il momento rivelatore del film non è la scena in cima al campanile, ma quella in cui James Stewart, nella stanza d’albergo che si colora di verde per il pulsare di un’insegna al neon, aspetta che Kim Novak esca da bagno trasformata da Judy in Madeleine, cioè nella donna scomparsa per colpa sua…
Allora sappiamo che “Vertigo” non è solo un film di morti. E’ anche (o soltanto) un film di vivi che non possono amare. E ci fa paura. Ci fa venire i brividi. Non perché c’è una porta che scricchiola o qualcuno che agita una mannaia. Ma perché ci insinua nel cuore un sospetto crudele: forse il solo amore eterno di cui siamo capaci è quello che non c’è, per chi non ci può appartenere. L’amore che non muore è l’amore per un fantasma. 

Gianni Amelio (regista) – tratto dal settimanale Film–TV  

 

Chi dice Donna…

Un sospetto di misoginia: certe donne di Hitchcock incedono attraverso i suoi film, a volte crudeli, a volte solo segnate dalla vita, e mantengono intatto oltre la fine il loro mistero. Judy che si trasforma due volte in Madeleine (la prima per denaro, la seconda per amore) è solo la più emblematica. Marlen Dietrich in “Paura in palcoscenico” (innocente) e Alida Valli nel “Caso Paradine” (colpevole) non sono poi molto diverse, nel loro algido gioco di seduzione. Tippi Hedren, in “Marnie” e “Gli uccelli”, è un groviglio indecifrabile; e Grace Kelly era comunque troppo bella per non essere pericolosa. Karen Black in “Complotto di famiglia” è una dark lady senza scrupoli ed Eva Marie Saint in “Intrigo internazionale” ha un “passato” da far dimenticare all’eroe. Come aveva persino la dolcissima Ingrid Bergman di “Notorius”, che innesca con Cary Grant il più puro dei rapporti sado-maso hitchcockiani. Perché in realtà, le sue donne sono spesso “sospette”, i suoi uomini sono quasi sempre sadici indolenti, solitari, inclini alla sopraffazione e all’ossessione.
Forse, non era una questione di misoginia, né di misantropia; forse Hitchcock conosceva bene le ombre dell’animo umano. 

Emanuela Martini – tratto dal settimanale Film-TV