| Il film che visse 
		due volte 
		Nella lunga 
		filmografia di Hitchcock ci sono due film con lo stesso titolo: “L’uomo 
		che sapeva troppo”. Hanno in comune lo spunto di partenza, le stesse 
		scene madri, ma si somigliano poco o niente. E non solo perché è diversa 
		l’ambientazione e uno dei due è a colori.Che cos’è che spinge un regista a rifare un film che ha già fatto? Può 
		esserci una ragione mercantile: la storia funziona ancora, quindi la si 
		aggiorna con le tecniche più moderne e un cast adeguato. Oppure il primo 
		film non era venuto bene, e allora lo si aggiusta Tenendo conto degli 
		errori già fatti. Del resto i romanzieri, che sono più liberi 
		dall’ingombro economico, ripropongono le loro edizioni rivedute e 
		corrette, e nessuno si scandalizza.
 Ma c’è un’altra possibilità ancora: che il remake diventi l’occasione 
		per un film completamente diverso, che del primo film conserva il 
		titolo, ma poi prenda una strada propria. E’ quello che mi pare sia 
		accaduto a Hitchcock con questi due omonimi del ’32 e del ’56: 
		condividono tanti snodi della trama, sono fatti dalla stessa mano 
		inconfondibile, ma non si apparentano tra di loro più di quanto non 
		succeda alle altre opere del maestro. E’ vero che tutti i grandi (e 
		anche i piccoli…) fanno sempre lo stesso film e lo chiamano per comodità 
		in modo diverso. Con Hitchcock succede però un fatto speciale: in tanti 
		lo hanno imitato, tanti hanno sognato almeno una volta di essere come 
		lui, d’impadronirsi del suo stile, che io sappia, non è riuscita a 
		nessuno. Era giusto, allora, che Hitchcock e i suoi vecchi soggetti se 
		li rigirasse da solo ogni volta che voleva: per noi spettatori sarebbe 
		stata comunque una novità.
 Nel caso di “L’uomo che sapeva troppo”  seconda versione, basta 
		già la coppia dei protagonisti per fare la differenza. Non solo James 
		Stewart – che dà l’impronta “seria” ai film di Hitchcock, come 
		Cary Grant quella “leggera”… - ma anche Doris Day è in grande 
		forma. Qui sfrutta anche il suo primo mestiere e canta una canzone (“Que 
		sera sera”) in una delle scene più ardite ed emozionanti sul piano della 
		regia. La musica ha un ruolo chiave nella trama, e Hitchcock ne 
		approfitta per costruire come una partitura tutta l’ultima parte, dal 
		concerto alla Albert Hall fino allo scioglimento nell’albergo. 
		Impeccabile. Non c’è storia per chi vuole rifargli il verso. Ne sa 
		qualcosa Gus Van Sant, che di “Psyco”, invece di fare il 
		remake, ha fatto il clone.
 Gianni 
		Amelio,
		(Regista) 
		- (Tratto dalla rivista Film-TV) |